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linguaggio della poesia e funzione del critico

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Questo testo  è parte di quello esposto alla premiazione del secondo concorso Sengor

L’altro argomento che vorrei mettere a fuoco  è la responsabilità del membro della giuria quando si trova davanti questo gran  numero di poesie. Il rischio è di perdersi. Intanto una prima distinzione va fatta. Giudicare un singolo testo poetico è molto diverso che giudicare una raccolta di poesie. Il testo poetico si evidenzia per quello che è, per la sua metrica, per la sua sonorità, per il suo senso. Una silloge ha altre caratteristiche. Intanto viene proposto un insieme di poesie con un titolo.  Questo insieme a volte corrisponde ad una logica temporale, cioè l’autore non ha fatto altro che raccogliere le poesie che sono state scritte in n un periodo di tempo. Ma nel momento in cui viene assegnato un titolo si pone il problema della coerenza fra titolo e l’insieme di poesie proposte. Ma altre volte la scelta dell’autore è diversa da quella puramente temporale perché egli pur avendo scritto tante altre poesie nel medesimo periodo poi ne sceglie alcune che rispondono ad una certa tematica, ad una certa consonanza fra le poesie scelte e aspetti della vita interiore o della realtà esterna.


Non si sarebbe buon giudice se queste caratteristiche non venissero prese in considerazione e non si valutasse quindi il piano dell’intenzione col piano della realizzazione che è segnato dal testo proposto. Qualche volta la silloge è corredata anche da immagini, solitamente riproduzioni di quadri o di incisioni. Ed anche questo non può non essere inserito come elemento di valutazione perché molto spesso l’autore della collezione poetica attraverso la presenza di queste immagini ha voluto sovraccaricare di ulteriore significato o una delle  poesie presenti nella silloge e a volte l’intera silloge. E d’altra parte la commistione fra le diverse forme artistiche tendenti a dare maggior senso estetico, maggior significato è un percorso che le giovani o giovanissime generazioni stanno sperimentando.    Non sono solamente questi elementi che si frappongono nel cammino di valutazione quando si affrontano sillogi poetiche perché le sillogi, più che le singole poesie,  danno la possibilità di cogliere il nucleo generativo dell’azione poetica di un autore, cioè è possibile cogliere quali sono o sono stati gli aspetti, i valori, le ansie, le contraddizioni che hanno spinto un autore di poesia a usare questo linguaggio per dire e dirsi qualcosa. Sì dirsi, perché, come affermava Montale in un’intervista fatta a cura della RAI non esiste un pubblico di poesie, il pubblico è dato dall’insieme dei poeti che scrivono in questa forma e che in qualche modo fanno da pubblico agli altri poeti. Allora un poeta prima di tutto dialoga con se stesso. Quando scrive poesia il referente è lui stesso. Chiunque abbia studiato un po’ la comunicazione, così come è stata elaborata dagli strutturalisti, sa benissimo che nello schema fonte-mezzo-destinatario, la poesia esalta essenzialmente la funzione del mezzo. Questo mezzo poi ritorna alla fonte e non parte per nessun altro destinatario.

Voglio cercare  di approfondire il rapporto che esiste fra la lingua del poeta e il poeta stesso, perché poi questo aspetto diventa elemento determinante per valutare una silloge poetica. Mi rifaccio a Bachtin, ancora maestro intramontabile negli aspetti della lingua in poesia e prosa. Dice il critico russo esattamente queste parole: “ Il poeta è determinato dall’idea di  una lingua unica e unitaria e di una enunciazione unitaria, monologicamente isolata” e ancora “ Il poeta deve entrare in pieno possesso personale della sua lingua. Assumere una piena responsabilità per tutti i suoi momenti…ogni parola deve esprimere in modo diretto ed esplicito il proposito del poeta; tra il poeta e la sua parola non ci deve essere alcuna distanza”.

Voglio soffermarmi sull’aspetto monologico della lingua del poeta. Il poeta non parla con altri, non prende in considerazione la lingua degli altri, la sua lingua non può essere contaminata. E’ una lingua che sotto molti aspetti non presuppone il dialogo perché quando questo esiste gli interlocutori devono tener conto della lingua dell’altro e proprio per questo corrodono la loro lingua. Il poeta non si pone in dialogo e quindi la sua lingua non viene corrosa. E tuttavia una certa forma di dialogo esiste all’interno del poeta. Il poeta dialoga con se stesso attraverso la sua lingua. La sua lingua diventa mezzo e strumento perché il poeta possa entrare maggiormente nel suo io, denudarlo renderlo vero. E come se la lingua fosse uno specchio in cui il poeta può vedersi e riconoscersi. “ La responsabilità di tutta l’opera poetica come propria lingua… è un’esigenza essenziale dello stile poetico…la lingua gli è data soltanto dall’interno dal suo lavoro intenzionale”, dice ancora Bachtin. Qual è questa intenzionalità del poeta. Qual è l’oggetto verso il quale il poeta deve manifestare la sua apertura. E’ se stesso. Il poeta ha a disposizione una lingua che gli serve come strumento per aprirsi intenzionalmente alla sua verità. Quanto più questo scavo avviene, quanto più profondo è, quanto più il rispecchiamento è limpido tanto più il poeta raggiunge l’essenza del suo essere uomo e quello che si dice allora assume valore universale. Il poeta allora rispecchia in se tutta l’umanità.

Ora se questo è il rapporto fra il poeta e la sua lingua  compito del critico, e quindi di chi deve in qualche modo valutare un’opera rispetto ad un’altra è cercare di capire se nelle poesie proposte questo rispecchiamento è avvenuto oppure la lingua è rimasta come puro fatto di termini denotativi e/o anche connotativi senza però mostrare il poeta nello specchio linguistico. Le connotazioni in questo caso diventano elementi fini a se stessi e non legati alla verità del poeta. O viceversa  il poeta a volte ha preso il sopravvento rispetto allo specchio linguistico, che risulta così deformato, riempiendone tutti gli angoli.

Personalmente a volte mi sono trovato di fronte a testi con un linguaggio elevato, puro e tuttavia il poeta, la sua verità non traspariva. Spesso ho riletto più volte lo stesso testo, gli stessi testi per capire se m’ero ingannato.

Diversamente si pone il compito della valutazione di una singola poesia, ove il testo assume la massima importanza perché da una singola poesia è difficilissimo cogliere il rispecchiamento del poeta. In questi casi allora ha la prevalenza nel giudizio, l’armonia e musicalità del verso, il senso della poesia. 

Un’ultima considerazione sui testi letti. Ci sono testi in cui è prevalsa la sperimentazione, a volte molto interessante, sia formale che linguistica, nel senso che si è avuta la presenza di sperimentazione poetica plurilingue. Il metro di giudizio rischiava di spostarsi sull’attenzione alla sperimentazione, mentre canone fondamentale era ed è rimasto, almeno per me, la capacità di rispecchiare nella forma, anche sperimentale, da parte del poeta la verità. A volte, in alcune sillogi molto interessanti, è prevalso l’aspetto contenutistico,.

Importante è aver scoperto in qualche silloge in maniera trasparente che la scrittura, qualunque essa sia, in questo caso la forma della poesia, è salvifica, permette cioè all’individuo di affrontare le proprie contraddizioni e attraverso  il rispecchiamento della forma  delle parole, che in questo caso assumono una risonanza intensa, perseguire il percorso di una liberazione di se stesso.

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