la trottola

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Venticinque anni fa circa, quando Malik aveva terminato di scrivere e tradurre Fiamme in paradiso io gli dissi che sarebbe stato importante completare quel testo con una narrazione che facesse capire il perché una persona lascia la propria terra, a meno che non si sia costretti da guerra. Allora gli arrivi in Italia non avvenivano ancora con i barconi, ma con semplice visto turistico d’ingresso. I libri scritti da immigrati non facevano emergere cause e ragioni dell’abbandono da parte di una persona del territorio di nascita.
Abdel Malik Smari scrisse un testo di una quantità simile a quello di Fiamme in paradiso, ma l’editore del Saggiatore preferì pubblicare solo la parte ormai conosciuta. Quanto quella parte del testo non pubblicato rispondesse alla mia richiesta ora non lo ricordo, occorrerebbe rileggerlo, ma la rilettura de La Trottola, ultima fatica di Smari mi offre molte risposte rispetto a quella richiesta fatta allora.
Qual è il senso più chiaro che emerge da quest’ultimo romanzo?
Innanzi tutto non vi è un intreccio, un plot, come direbbero gli inglesi, se non in maniera molto labile.
Una storia, un plot si ha quando i fatti che avvengono all’interno della vicenda sono dettati da una relazione di causa effetto che a sua volta diventa causa e produce un nuovo effetto.
Che nel canone occidentale europeo questa forma sia dominante può essere suffragato anche dall’impostazione che alcuni semiologi hanno dato alla metodologia di analisi delle strutture narrative. Penso ad esempio a Barthes che afferma che il senso di una narrazione è dato dal rapporto fra le funzioni o le sequenze. Quando c’è un rapporto esiste comunque una relazione causa-effetto.
Quando manca proprio la relazione causa effetto delle sequenze l’interpretazione diventa un po’ più complicata. Gli indifferenti di Moravia presentano questa caratteristica, cioè le azioni dei personaggi di quel celebre romanzo non sono dettate da ragioni, da motivazioni, manca proprio un rapporto causa-effetto delle azioni, ma proprio questa carenza diventa elemento di interpretazione del testo narrativo.
Il romanzo di Smari è la rappresentazione scenica, teatrale, fotografica della vita di un piccolo paese dell’Algeria che è nelle vicinanze di Costantina. Piccoli personaggi senza alcuna prospettiva, ripetitivi nel loro agire. Uno spaccato fedele che fa vedere vizi e virtù della gente. Si litiga per un fazzoletto di terra, si evadono le tasse, si sfrutta che lavora e li si paga in nero. I ragazzi mostrano quella loro duplice facciata di innocenza e di forte malizia. C’è l’amore per la donna, ma c’è anche l’omosessualità che in un paese è repressa e mal sopportata. La dimensione scenografica mi fa venire in mente quadri alla Bruegel in cui i personaggi operano indipendentemente gli uni dagli altri. Proprio questa rappresentazione scenica, che vede i personaggi agire ognuno per proprio conto senza quasi relazionarsi   presuppone che non ci sia una relazione causa effetto nei fatti.
Emerge in maniera evidente la mancanza di prospettive. “Anche lui è stufo di vedere la gente vestirsi come nel medioevo. Continua a vedere gente sporca ed impolverata... Ne ha abbastanza di vivere tra le brutture delle costruzioni e nel caos irrequieto dei comportamenti”. In questo quadro diventa necessario il desiderio dell’altrove, del fuoruscire da una situazione che costringe, che impedisce ogni sogno. Non è un caso che Nabil, un giovane di questa comunità, un po’ alla ricerca di qualcosa che possa cambiare la sua vita trovi in internet e nella comunicazione mediante questo strumento la possibilità di fuoruscire dal proprio ambiente. È la valvola di sfogo alla chiusura a cui la sua comunità lo costringe.
Se si vanno a vedere le storie di emigrazione dei giovani magrebini dai loro paesi ci si trova proprio di fronte a questa impossibilità di speranza la motivazione che ha spinto loro a cercare qualcosa di diverso che non l’inedia e la mancanza di futuro.
Il romanzo si chiude a sorpresa. Non voglio qui svelare che cosa avviene, ma quel finale propone una lettura del senso del romanzo che è in contrasto proprio con quello che sembrerebbe all’inizio e con quanto affermato finora. La fuoruscita dal proprio territorio non sortisce buon esito, quasi a richiamare una sorta di ideale dell’ostrica di verghiana memoria. D’altra parte, se si vanno a scorgere le modalità con cui il narratore tratta i personaggi del romanzo in questione ci si accorge che vi è una sorta di condiscendenza, bonarietà. Non sono personaggi in cui alligna il male. Lo stesso gendarme è un po’ saccente e niente altro perché poi rispetta e fa rispettare le regole.
Nabil aveva già tentato di andar via dal suo territorio per recarsi in Tunisia ma viene fermato alla frontiera e imprigionato per mesi. L’unica possibilità di evadere dal proprio territorio è quello della fantasia e quella virtuale che poi è ancora fantasia.

Qualche elemento di analisi va poi fatta in rapporto alla organizzazione linguistica. Intanto alcune metafore molto lontane dalla sensibilità del canone europeo occidentale. Si prenda ad esempio questa: perché non esiste scorciatoia per il cielo se non la morte, metafora che seguiva alla frase “Comunque sa di appartenere a una razza di cavalli vincenti”. La relazione fra le due frasi è lontanissima. Oppure quest’altra ancora: “i ricchi portano le ali all’arroganza”. La metafora è comprensibile ma è la relazione fra una cosa animata ed un’altra inanimata che lascia perplessi.
Ancora un esempio della struttura linguistica adoperata da Smari. Si prenda ancora come esempio questa frase: “Ne ha abbastanza di vivere tra le brutture delle costruzioni e nel caos irrequieto dei comportamenti”. Si osservi l’aggettivo irrequieto associato a caos. Caos è una cosa inanimata, irrequieto lo si usa per cose animate persone o animali. È ancora quella che ho detto in altre pagine rispetto alla personificazione degli oggetti, modalità tipica della scrittura di Smari. Occorrerebbe una analisi più a fondo dell’organizzazione linguistica araba e vedere se è generale questa animazione degli oggetti oppure è un fatto solo tipico del nostro autore algerino. Se fosse così e se il meticciamento che opera AbdelMalek Smari ha qualche fortuna ci potrebbe essere un ricongiungimento con l’inizio della letteratura italiana quando Guido Cavalcanti animava gli oggetti forse agganciandosi alla filosofia degli aristotelici arabi Avicenna e Averroè.

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