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Addio, a domani

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Addio,  a domani

Il romanzo della giovanissima Sabrina Efionayi propone diversi spunti di interesse. Un primo e significativo è la funzione del narratore. L’autrice lo dichiara apertamente all’inizio che preferisce un narratore extradiegetico. Questa funzione narratrice avviene per quasi tutto il romanzo salvo negli ultimi capitoli quando si propone un narratore intradiegetico anche perché la protagonista ha ormai un’età tale da poter disporre di una memoria e di un controllo emotivo che le permette di mantenere la scrittura equilibrata.  Il narratore interno si ha a partire dall’età di 12 anni della protagonista. Ma certamente questa avrà avuto ricordi anche di fatti avvenuti in età precedente, ma ha preferito che fosse un narratore esterno a raccontarne le vicende.   In tal modo ottiene un duplice scopo: possibilità dell’uso della finzione, pur mantenendola nell’alveo della verosimiglianza; la possibilità di un maggiore controllo emotivo, come già detto in precedenza.
Il secondo punto significativo riguarda la doppia maternità, quella biologica e quella di fatto. La protagonista, Sabrina, ha una madre biologica, Gladys, che per ragioni oggettive non riesce ad esplicare la sua funzione che delega ad un’altra donna, Antonietta.   La prima madre non rinnega mai la sua maternità che non riesce a svolgere e a malincuore rinuncia alla crescita della figlia lasciandola alle cure della seconda madre, che in effetti è quella che è il punto reale di riferimento della ragazza.
Sabrina, vive questa doppia figliolanza, a volte con difficoltà, come quand’era piccolissima, ma anche quando, ormai dodicenne è abbandonata per un mese a Lagos  dalla nonna perché Gladys sta cercando di ricostruire una sua vita.

Il romanzo è inserito in un contesto di sfruttamento della donna. Gladys in effetti è stata portata dal Laos in Italia e costretta a prostituirsi per anni. Tenacemente ha voluto portare avanti la gravidanza e dare alla luce una bambina. Ma la sua vita è stata segnata da questa esperienza in cui il suo corpo è alla mercè di uomini senza scrupoli e sentimenti. Anche il padre di Sabrina non riesce a mantenere e portare avanti il suo dovere di padre. Si trasferisce in Francia dove costituisce una seconda famiglia.

In questo groviglio di relazioni, di difficoltà a riconoscere sé stessa Sabrina trova nella scrittura la sua ancora di salvezza.  La scrittura è terapeutica, non è sorta di surrogato di una qualsiasi analisi psicanalitica perché diventa lo psicanalista di fatto e chi scrive è come se nel prendere figurativamente la penna in mano si sdraiasse sul divano e lasciasse che le sue fantasie, deposte sulla pagina, acquistino la dimensione del rapporto psicanalitico con chi sta scrivendo.

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