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la moto di Scanderberg Abate

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Un mito: la moto. Un altro mito: il padre. Ancora un mito: la fanciullezza del protagonista, la voce narrante principale.
Il "padre" all'origine di questi miti è il leggendario eroe albanese Scanderbeg del Tempo Grande, che condusse le battaglie degli albanesi contro i Turchi.
Tutto il romanzo gioca sugli eroismi che si incarnano nel giovane protagonista del romanzo quasi fossero elementi ereditari.
Attraverso la moto Egli vuole rivivere la grandezza eroica del padre, senza riuscirvi. Quella di Giovanni Alessi è quasi una rincorsa verso la maestosa figura del padre, senza mai arrivarci. Scanderbeg-padre vive di coraggio, idealità, altruismo, solidarietà, grandezza e mistero, qualità che invece nel giovane figlio sembrano mancare. L'unica volta in cui ha voluto mostrare coraggio lo ha fatto con la violenza. Al padre bastava lo sguardo, per essere temuto e rispettato.
Il confronto padre-figlio è ogni volta riproposto in tutti gli aspetti, persino nel rapporto uomo donna.
Scanderbeg padre è inarrivabile; è l'eroe che, innamoratosi di una donna, vive con totalità il sentimento per quella che sarà la sua futura moglie, poi per una "teatrante". Eppure anche in questa passione non perde il senso della eticità.
Giovanni non riesce a reggere il paragone con il padre. Dopo la sua morte si identifica nel suo mito utilizzandone la moto.
Anche la comunità sembra accettare questa perpetuazione attraverso la la mitica guzzi Dondolino, al punto da soprannominare anche il figlio Scanderbeg.
La mitizzazione della adolescenza serve al protagonista per ancorare la propria identità. Ogni mito vivente, di regola, non riesce a reggere il confronto con la realtà; così avviene per Giovanni, che scopre la propria incapacità e la distanza fra lui e il mito paterno gli crea problemi identitari e di insicurezza.
Anche il padre non è riuscito a reggere il mito del leggendario eroe albanese. Spreca, ancor giovane una vita epicamente vissuta, di lotta, di passione politica per una banale scommessa.
Giovanni sembra poco attivo, irrequieto, irresoluto. Anche Il rapporto con Claudia, la sua "ragazza" manca di nerbo.
E' un personaggio che ha abbandonato ogni retaggio mitico ed epico, i suoi dubbi, le sue incertezze lo rendono personaggio contemporaneo. Il romanzo vive fra queste due realtà: epica e contemporaneità, destino e contingenza.
Il destino sembra incombente e per nulla esorcizzato dalla modernità. E' personificato da Stefano che con la sua apparente magia, mostrata da bambino e la predizione di una prematura morte di Giovanni, sembra rappresentare una minaccia. E' proprio come il destino "dell'epos" che è lì a scandire la necessità della vita nonostante il tentativo della volontà di libertà dell'uomo.
Giovanni rifiuta di rincontrare Stefano, anche se questi sta vivendo la modernità con maggiore consapevolezza perché quei miti li ha fatti diventare storia e tradizione e proprio per questo sono stati fagocitati e rielaborati. Giovanni che non ha ancora preso le distanze dai miti; ha timore di rivedere Stefano quasi come minaccia vivente di un suo ritorno, di un reingresso nella balena del mito senza capacità di uscirne fuori. Sembra quasi essere di fronte a un conflitto tra chi ha rielaborato il mito, razionalizzandolo e approdando a sicurezza e dominio, e chi è ancora proiettato in questa visione, ne è soggiogato e proprio per questo vive in una dimensione di scissione, di conflitto interiore. I due amici, in fondo, rappresentano la modernità e la contemporaneità. La prima razionale, equilibrata consapevole, l'altra rielaboratrice di miti e proprio per questo più immersa in un perenne conflitto.
Sul piano della forma l'autore trasferisce la voce narrante su più personaggi: ora Giovanni, ora la madre, ora il padre.
E' un artificio che serve a dare maggiore credibilità alla costruzione dei miti.

 

13-02-2007

 

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