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punto e a capo

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“Io sono con te – storia di Brigitte” e “Il mare davanti – storia di Tsegehaus  Weldeslassie”, due testi con un sottotitolo simile: storia di… Il primo è stato scritto da una scrittrice di successo, Melania G. Mazzucco; il secondo da un’altra scrittrice, anch’essa molto nota, Erminia Dell’Oro.

Intanto chi sono Brigitte e Tsegehaus, Ziggy per gli amici.

La prima è nativa del Congo, da cui è fuggita per sottrarsi a morte sicura dopo che aveva rifiutato d’obbedire ad un  ordine dell'autorità poliziesca del suo paese, ordine che l’avrebbe resa un’assassina.
Il secondo è eritreo e fugge da quella propaggine del Corno d’Africa per non diventare militare a vita ed essere costretto ad imbracciare le armi contro i suoi connazionali.

Ambedue sono persone fuggite dal luogo ove sono nate e cresciute, perché perseguitate in vario modo da governi dittatoriali e dispotici.

Le loro storie, i maltrattamenti subiti nei paesi d’origine, le modalità attraverso cui arrivano in Italia, il modo in cui vi sono accolti, diventano materiale usato dalle due romanziere per  sviluppare i loro testi.

Fin qui nulla di eccezionale, se non l'eccezionalità delle stesse vicende e il narrare magistrale delle due autrici.

Ciò che va considerato invece con molta attenzione è il fatto che le storie si inseriscono nell’alveo dei fenomeni della migrazione a cui stiamo assistendo negli ultimi decenni.

In breve sintesi si può dire che dalla metà degli anni ’80 fino ai primi anni del 2000 la migrazione in Italia e in Europa in generale è stata di ordine economico. I trasferimenti avvenivano perché le condizioni  economiche dei paesi da cui si partiva  erano disastrose  e quest’ultimi non potevano neppure essere considerati in via di sviluppo, perché ogni avanzamento economico era bloccato dagli enormi debiti che assorbivano anche gli scarsi aiuti che venivano  loro concessi.
I giovani e meno giovani migravano per coltivare un minimo di speranza di un cambiamento della propria esistenza.

Già però nei primi anni del nostro secolo erano iniziati attraverso il Mediterraneo i primi trasferimenti di ordine politico. Si sfuggiva da dittaturee da guerre.

La Libia era il luogo principale da cui partivano barche, barconi, gommoni. E immediatamente sono venuti alla luce i primi naufragi con centinaia e migliaia di morti per annegamento o dispersi per sempre nelle sue acque. Solo alcuni, più sensibili, cercavano di porre attenzione a quella immane tragedia. E qui ci corre l'obbligo di segnalare la tragedia di Portopalo avvenuta nel 1996 circondata da un silenzio colpevole della stampa e televisione italiana rotta solo dal Manifesto. Nel 2004 tutta la vicenda fu narrata da Giovanni Maria Bellu in I fantasmi di Portopalo. Natale 1996, la morte di 300 clandestini e il silenzio dell'Italia. E bisogna ricordare l'infaticabile lavoro di Gabriele Del Grande che nel blog Fortress Europe, raccoglie e cataloga tutti gli eventi riguardanti le morti e i naufragi dei migranti africani nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l'Europa.

La crisi economica dei paesi occidentali iniziata nel 2008 aveva cominciato a scoraggiare la migrazione di ordine economico, che vide manifestarsi  un fenomeno di ritorno ai propri paesi d'origine, ma contemporaneamente era aumentata la migrazione di ordine politico. Dalla Libia partivano sempre più barconi e gommoni che spesso naufragavano per le condizioni avverse del mare. La cosiddetta primavera araba con le conseguenze che ne derivarono e la guerra civile in Siria avevano ulteriormente incrementato  le migrazioni di ordine politico di persone in cerca di pace e tranquillità, in fuga dalle guerre.

Il processo migratorio in Italia, in prima approssimazione e sintesi, possiamo  suddividerlo in due grandi periodi: 1985-2003 e dal 2003 fino a i nostri giorni. Il primo per cause economiche il secondo per cause politico-sociali.

La Letteratura della migrazione, come chiamiamo la produzione letteraria dei migranti che hanno appreso la nostra lingua in Italia, incomincia a manifestarsi, salvo qualche eccezione, a partire dai primi anni ’90, cioè dopo qualche anno dall’inizio del processo migratorio. I migranti cioè hanno atteso solo qualche anno prima di farsi conoscere, di venire alla luce del sole.
Inizialmente abbiamo quella che venne chiamata la produzione a quattro mani. Giornalisti, addetti alla industria editoriale presero contatto con alcuni immigrati e nacquero gli storici “Io venditore di elefanti”, “Chiamatemi Alì”, “La promessa di Hamadi”, “Immigrato”, Volevo diventare bianca”. Lo sviluppo di questo filone letterario ha fatto forse la sua storia. Fino a qualche anni fa, cioè fino agli inizi del secolo 2000, si sono presentati sulla scena letteraria non pochi fra narratori e poeti. Il data base Basili tre anni fa ne annoverava circa 500. Erano scrittori e poeti che provenivano dal oltre 90 paesi del mondo a testimonianza di una migrazione in Italia complessa e particolare. Secondo la bibliografia presente su el ghibli e sul sito del Centro Culturale Multietnico La Tenda questi dati sarebbero più alti: 625 stranieri di 106 paesi diversi.

Hanno contribuito a far sviluppare questa letteratura l’attenzione riservata al fenomeno dal prof. Armando Gnisci dell’Università La Sapienza di Roma, la presentazione dei primi testi (anche inediti e scritti da immigrati clandestini!) a Milano presso la biblioteca rionale Dergano Bovisa con i cicli di narrativa nascente a cura del Centro Culturale Multietnico La Tenda, il concorso Eks&Tra, la passione di un gruppo di giovani studiosi sparsi in varie città d'Italia, le iniziative dell’università di Bologna ad opera del prof. Fulvio Pezzarosssa, il concorso Lingua Madre di Torino.

Ormai sembrava che l’emergere di altri scrittori era quasi impossibile e l’attenzione si spostava su altre piste quali la possibile nascita di talenti letterari dalle cosiddette seconde generazioni o la scoperta di una letteratura post coloniale presente sotto traccia nella Letteratura della migrazione, fatto ritenuto marginale fino a pochi anni fa.

La nuova e diversa ondata migratoria, fatta essenzialmente di richiedenti asilo politico sta riproponendo sotto forme diverse ciò che era accaduto agli inizi degli anni ’90: la elaborazione di storie (erano state anche chiamate “récits de vie”) di immigrati che desiderano far conoscere le enormi difficoltà  incontrate nell'attraversare il Mediterraneo dopo aver già faticato infinitamente tra terre aride e desertiche del nord Africa per giungere in un paese dell’Occidente con la speranza di poter in qualche modo essere accettati. Siamo cioè punto a capo.

I due testi che stiamo prendendo in considerazione stanno iniziando, forse, una nuova stagione, una nuova forma letteraria e chissà che, come già accaduto in passato  dall’emancipazione dalle “quattro mani”, non si passi anche adesso alla offerta di narrazioni che, pur inglobando le personali esperienze, diano luogo a lavori di discreta se non buona  letteratura così come è accaduto per alcuni degli immigrati della prima fase.

Rispetto alla produzione della prima parte degli anni ’90 qualche differenza sembra subito emergere:

1) C’è quasi una sorta di pudore  a volere “stendere i panni all’aria”, cioè a raccontare fino in fondo le esperienze e le sofferenze subite. D’altra parte per i rifugiati politici il percorso per raggiungere un nuovo spazio  più liberale non è stato privo di angosce e sofferenze indicibili che hanno segnato nel profondo il loro fisico e la loro psiche, elementi che necessitano di tempo per essere metabolizzate. Forse per questo si rende necessaria la mano esperta dello scrittore italiano, nei casi presi in esame delle due scrittrici.

2) L’attenzione data a questi nuovi e diversi immigrati avviene da parte di scrittori  di una certa fama (1). Questo vuol dire impregnare con una maggiore dose di letterarietà le storie e i racconti fatti  dai richiedenti asilo.

3) Mentre nei primi testi della migrazione, dove il racconto prendeva in esame essenzialmente il rapporto fra i migranti e il paese ospitante, c’era il desiderio e la volontà di farsi conoscere  dalla comunità presso cui si era approdati, c’era la necessità di vincere resistenze e diffidenze e farsi conoscere come persone con gli stessi  problemi, con le stesse esigenze, con gli stessi sogni di coloro che li ospitavano; in questi ultimi racconti l’accento si sposta sul viaggio, sulla necessità di espatriare e di arrivare ad un altro paese per scampare dalla morte, esperienza che deve essere riassorbita ed ha bisogna di un’altra mano. (2)

4) Nei testi a quattro mani compariva come coautore anche il nome dell’immigrato di cui si raccontava la storia. In questi testi recentissimi l’unico autore è la scrittrice.

Qualcosa di analogo rispetto ai primi anni ’90 sta avvenendo riguardo all’interesse delle case editrici. Allora ci furono la Garzanti, Leonardo, e/o, ecc. Oggi a stampare questi testi si sono mossi due editori importanti come Einaudi e PIEMME.

Qualche elemento va detto su come i due testi sono stati confezionati dalle scrittrici Mazzucco e Dell’Oro.
Esaminiamo “Io sono con te”. Il primo aspetto fondamentale è il ruolo del narratore che è extradiegetico,   anche se di tanto in tanto, in alcuni momenti particolarmente intensi si passa alla narrazione intradiegetica. Avviene così quando Brigitte racconta della sua prigionia, della fuga e dell’arrivo in Italia. Questo gioco fra extradiegesi e intradiegesi innalza il tono drammatico della storia e sposta continuamente il piano focale.

L’altro aspetto caratteristico è dato dagli scarti temporali, spesso si usa il flashback.
Lo scorrere del tempo in maniera “elastica” è quasi dettato dall’alterno andamento del recupero psicofisico di Brigitte, dopo i traumi che ha subito per aver dovuto abbandonare i suoi figli, aver sopportato sofferenze al di sopra dell’immaginabile, aver dovuto, pur giunta in un paese occidentale, vivere continuamente nella più assoluta precarietà disperando di poter intravedere una possibile via di salvezza.

L’ultimo elemento significativo di questo romanzo organizzato con sapienza e maestria è data da una sorta di giustificazione della impresa narrativa assunta dalla scrittrice. La sua frequentazione con un’associazione romana che si preoccupa di fornire assistenza agli immigrati che vivono in una condizione di assoluta precarietà, fa sì che poi, data anche la sua professione, si decida, quasi collettivamente, di stendere un romanzo con la partecipazione di Brigitte, che racconta la sua storia e si sente onorata dell’attenzione a lei riservata.

Il testo  “Il mare davanti” di Erminia Dell’Oro è più semplice sul piano organizzativo perché salvo alcune pagine iniziali il narratore è intradiegetico e la vicenda viene raccontata con uno schema temporale serialmente costruito.

L’efficacia narrativa non è da meno rispetto al testo della Mazzucco anche perché Erminia Dell’Oro è molto esperta sul piano narrativo.

L’organizzazione offerta dalla Dell’Oro fa risaltare maggiormente la storia del profugo eritreo che è sempre in primo piano. Penso che la scelta fatta dalla scrittrice di origine eritrea sia stata quella di nascondersi perché riteneva più importante far emergere la vicenda di Ziggy.
Ne il “Il mare davanti” è presente una attenzione più marcata alle vicende storiche  dell’Eritrea, della sua lotta per l’indipendenza, fatto che può essere dovuto alle origini della scrittrice, ma anche alla giustificazione della scelta di Ziggy di fuggire dall’Eritrea.

 
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(1) Per onor di verità anche “Immigrato” del 1990 vede l’interesse di uno scrittore ma alle prime armi, Mario Fortunato.  

(2) Avevo chiesto qualche anno fa a Giancarlo Monticelli, amico e regista di teatro, di creare un testo sul dramma che stava avvenendo nel mediterraneo e di cui si parlava pochissimo. Giancarlo mise in scena “Vite parallele” di cui uno degli attori era Tsegehaus  Weldeslassie, proprio il protagonista del romanzo di Ermina Dell’Oro.  Il testo teatrale venne rappresentato con molta tensione ma non si poté replicare perché Ziggy non se la sentì di ripetere l’esperienza.   

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