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Nella letteratura italiana ci sono almeno due testi, conosciuti non solo dagli specialisti, ma anche dal più vasto pubblico di lettori, difformi rispetto alla consolidata prassi del narrare da una parte, e del rappresentare dall’altra. Mi riferisco al testo di Calvino Se una notte d’inverno un viaggiatore e al testo teatrale di Pirandello Sei personaggi in cerca d’autore. In quest’ultima opera il drammaturgo siciliano presenta la storia di personaggi abbozzati da un autore, ma anche se appena abbozzati, già pieni di vita, necessitanti e necessitati proprio per questo ad esprimersi, realizzarsi nella pienezza della vita. È Pirandello, che paragona la creazione artistica ad un vero parto, e proprio per la fatica e la sofferenza che questo comporta, rivendica quasi la autonomia dei personaggi, della loro vita, una volta ideati e quindi concepiti.
Un autore può lasciare incompiuta un’opera, non dar esito allo sviluppo ed alla crescita dei personaggi: o perché si interrompe la sua vita, o perché la vicenda, la storia, i personaggi stessi non hanno assunto ancora quella forma che sfocia nella vita (è un aborto ai primissimi giorni dal concepimento).
Nel primo caso, a volte, specialmente se l’autore ha già acquisito notorietà in vita, c’è sempre qualcuno che si presta a sviluppare e determinare la vicenda dei personaggi abbandonati. Così avviene per lo stesso Pirandello con i “Giganti della montagna” (musicalmente ciò è avvenuto per la decima sinfonia di Mahler). Calvino fa un’operazione volutamente diversa, nell’opera citata. Inizia alcune storie, le interrompe, le riprende, le interrompe ancora e definitivamente in un gioco combinatorio di relazione fra il lettore e il mondo narrativo. Nell’opera dello scrittore ligure è sottolineata la funzione che il lettore assume di fronte a narrazioni interrotte; che possono aprirsi perciò ad una compartecipazione.
Jadelin Gangbo nel suo testo “Rometta e Giulieo” fa intervenire lo stesso narratore nella vicenda là dove sembra non trovare soluzione agli sviluppi narrativi.
Julio Monteiro non assomiglia né a Pirandello, né a Calvino e neppure a Gangbo.
Egli dichiara subito fin dall’inizio di voler interrompere la sua narrazione e proporre quindi un non romanzo, o un romanzo “incompiuto”.
Esplicitamente dice al lettore, nelle ultime pagine, di protestare pure presso di lui se non sarà soddisfatto della lettura, o di farsi cambiare l’opera dal libraio.
Proviamo a individuare alcuni aspetti significativi.
Pirandello pone al centro della sua creazione la funzione del personaggio e il suo tentativo di realizzarsi autonomamente rispetto all’autore. Calvino mette in risalto il ruolo del lettore e il suo affannarsi nel doversi districarsi fra le tante narrazioni. Monteiro focalizza la sua attenzione sul narratore che volutamente e senza una ragione apparente interrompe il suo processo espositivo.
Una prima chiarezza innanzitutto. Alla fine del testo si riportano i dubbi dei prelettori del romanzo. Si dice espressamente: “…l’ipotetico lettore si potrebbe lamentare del fatto che non sempre risulta chiara l’identità del narratore, ma viene a confondersi con quella racchiusa nella parentesi quadra”. La narrazione è fatta in prima persona, c’è quindi una voce narrante che è un personaggio con una sua caratteristica e una sua psicologia. A volte esprime sue considerazioni fra parentesi rotonde. Le considerazioni esposte in parentesi quadre, presenti molto spesso nel testo esprimono invece la voce del narratore propriamente detto, che è da intendersi separato dalla voce narrante. Questa considerazione è importante ai fini dell’analisi del romanzo madrelingua.
E’, perciò, un metaromanzo quello che propone l’autore di origine brasiliana. Metaromanzo perché il narratore interviene a svelare, mediante l’inserimento di frasi e concetti fra parentesi quadre, le sue trovate, le sue furberie, le sue meraviglie di fronte ad emergenze dell’inconscio che fanno ripetere termini o immagini. Ci viene svelato qualche trucco del mestiere di narratore, viene svelata la sua compiacenza di fronte ad invenzioni narrative.
Se questo però è lo scopo, il livello è necessariamente alto; è opportuno allora porsi una domanda: chi è il destinatario di quest’opera? E’ inevitabile rispondere che non può che essere un pubblico specialista o un pubblico che sta seguendo con interesse e curiosità quanto Monteiro sta producendo in Italia e può di individuare gli incroci che si determinano fra la cultura d’origine dell’autore e quella del paese ospitante. Il rischio, che mi pare sia fortemente presente nella pubblicazione di questo testo è quello di inibire l’approccio di un pubblico più ampio alla produzione dell’autore. Di questo egli stesso sembra essere consapevole, ma, forse, alla possibile produzione di opere facilmente commerciabili egli sta preferendo, con totale sincerità ed onestà, la continuazione della sua ricerca intellettuale di letterato, di scrittore; pur con tutti i rischi che ciò comporta.
Romanzo incompleto, interrotto. Ma è proprio così?
Il testo si presenta organizzato in tre parti più un preambolo. Il romanzo, o per meglio dire l’inizio del romanzo poi bruscamente interrotto, è seguito da una appendice che è una “piccola enciclopedia”, composta da una serie di parole o termini da cui traspare il tessuto culturale su cui il testo è stato costruito. Tale parte rafforza l’impostazione del metaromanzo. A questo segue poi un “post scriptum” (che rischia di non essere letto perché il lettore può essere indotto a ritenere concluso il testo con la piccola enciclopedia intitolata appunto “appendice” ) nel quale da una parte Monteiro invita i lettori che dovessero sentirsi defraudati a lamentarsi direttamente con lui (tramite l’editore), dall’altra dà alcune notizia sulle vicende dei personaggi del romanzo dopo l’interruzione. Il romanzo è interrotto, ma con questo espediente i personaggi trovano un loro sviluppo ed esito seppur appena accennato.
Di fatto, il romanzo non è completamente interrotto ma è concluso nel post scriptum. In quest’operazione lo scrittore restituisce al narratore una dimensione extrastoria, quest’ultimo ridiventa un narratore onnisciente che sa tutto dei personaggi, prima e dopo la vicenda raccontata.
In questa costruzione, fra narrazione e di non narrazione ogni personaggio trova i suoi cambiamenti, le sue mutazioni, i suoi momenti formativi, in positivo e in negativo. Chi rimane immobile nella sua dimensione interiore è l’io narrante.
La duplice dimensione di staticità dell’io narrante, a focalizzazione interna, quindi e la modificazione degli altri personaggi crea un ibrido narrativo, cioè qualcosa che sta a metà fra novella (racconto) e romanzo (Monteiro nel preambolo chiama il suo prodotto “novella o brevissimo romanzo”).
La differenza essenziale fra queste due forme narrative sta nel fatto che nella prima i personaggi sono fissati quasi come in una forma epica. Il tempo e lo spazio possono scorrere avanti e indietro, il personaggio nel suo essere “tipo” non muta, è determinato dalla sua essenza.
Nel romanzo, nella sua forma moderna, legata molto alla classe sociale dominante, è determinante il mutamento, la dimensione di cambiamento; e questo non solo nel romanzo di formazione. Ogni personaggio del romanzo moderno entra direttamente in relazione dialettica con spazio, tempo e proprio per questo con sintesi nuove, con dimensioni nuove del proprio io, del proprio essere sia inasprendo il proprio carattere, sia stemperandolo, sia mutandolo totalmente. Questa provvisorietà dell’essere di ogni personaggio omologa il romanzo alla forma economica dominante, quella del capitalismo in cui la concorrenza, la mercificazione altera momento per momento l’essere di ogni uomo.
In madrelingua c’è proprio una commistione di questa situazione, la forma epica e statica assieme alla forma dinamica. Romanzo e novella coesistono. La tensione risolutiva propria ad ogni forma di romanzo è il corrispettivo sul piano economico della ricerca della stabilità economica dialetticamente raggiunta con la dimensione rischio. In questo senso il continuo superamento è la molla e la dimensione di fondo dell’aspetto economico, come dell’aspetto narrativo del romanzo.
In Julio Monteiro c’è un superamento di questo dato. In altra parte ho parlato della dimensione fotografica dei suoi testi narrativi, che non assumono la dimensione epica, propria della novella perché in ogni fotogramma è impressa una dinamicità data dalla aleatorietà della vita stessa. Dinamicità, quindi, privata della tensione ricorsiva. Questa caratteristica fa sì che i personaggi creati dallo scrittore brasiliano non sono epicamente stabiliti, ma neppure dinamicamente affannati nell’ingorgo della vita borghese. Sono personaggi estetici che hanno scelto di valorizzare qualche aspetto del loro io, quello che li possa in qualche modo distinguere e caratterizzare rispetto agli altri.
In questo romanzo, tuttavia, il raffronto, confronto con quanto socialmente è avvenuto in Italia, è fortemente presente. Gli accenni al Presidente del Consiglio, al clima politico creatosi a causa della vittoria della Casa della libertà sono continui e determinanti Salvo, uno dei protagonisti di questa novella-romanzo, decide di andar via dall’Italia, in volontario esilio, perché non riesce più a sopportare il clima creatosi. La prima pagina del postscriptum è la denuncia del fallimento programmatico e politico di Berlusconi.
Questo non romanzo è una metafora della condizione politica italiana, ma forse madrelingua è una metafora della vita d’oggi e della sua precarietà.
Si inizia un lavoro e lo si deve interrompere perché è solo a tempo determinato. Si inizia una relazione affettiva ed anch’essa è sempre a rischio di interruzione. Si inizia una gravidanza e la si interrompe. La stessa amicizia, una volta sentimento stabile e duraturo nel tempo si lacera con molta facilità. La vita stessa è minacciata continuamente da incidenti, guerre. Siamo di fronte a continue interruzioni traumatiche, spesso inspiegabili. Di fronte a tutto questo che senso ha far finire un romanzo?
Un ultimo accenno alla padronanza che Monteiro dimostra di possedere della lingua italiana. Solitamente uno straniero, che ha conosciuto da poco tempo la lingua, organizza l’espressione linguistica su modelli linguistici dominanti, cioè su un modello linguistico che è l’evoluzione a cui oggi la lingua è pervenuta e che con tutta probabilità ha potuto acquisire attraverso la lettura dei testi letterari più recenti. La forma dominante della lingua italiana è fatta di periodi costituiti da una o due frasi. Nello scrittore brasiliano troviamo invece moduli linguistici più articolati e complessi e spesso con un registro linguistico elevato così che la letterarietà dello scritto diventa una delle sue caratteristiche più significative.

05-06-2005

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