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Il burattinaio

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Non è ironia, non è sarcasmo, non è umorismo, ma è comicità. I racconti di Laila Wadia sono intrisi da mordace comicità, perché l'autrice cerca tutti i modi per dare una svolta comica alle sue storie. Le trovate strane, a volte preannunciate come ne il burattinaio, o come in Viaggio in India, ma altre volte sorprendenti come in Sala d'aspetto, dipingono però una umanità varia legata ai propri modi di essere e di fare, che non si lascia scalfire dalle esperienze positive o negative ricevute. E' una umanità che la vena comica riesce a perdonare per tutte le malefatte che combina, per tutte le emarginazioni che commina, per tutte le ingiustizie che propina. E' comicità che a volte rasenta l'umorismo, come in Lode alla polenta, ma ove la riflessione non avviene sui personaggi o su qualcuno di essi in particolare, ma avviene su tutta l'umanità. Chè dopo aver riso non si può far altro che riflettere su questa umanità e sulla tragedie della sua storia. Ma solo chi sa ridere e sorridere può comprenderla e amarla, nonostante tutto.
I personaggi descritti da Laila Wadia spesso sono personaggi immobili, che sembrano non mutare nelle loro fissazioni, che non si lasciano educare, diremmo noi, ma proprio per questo sono molto più vicini a noi. Sono più reali.
E sono personaggi ormai globali, perché sono dappertutto, in Italia, in India, in America. Sono personaggi che appartengono a tutto il mondo: italiani, indiani, tibetani, etiopi, ecc. Sono tutti con gli stessi difetti umani, pur appartenenti ad etnie diverse. In cinquina il "padre" etiope, che accusa l'indiano di una irregolarità che poi commetterà lui pure è la descrizione di un autentico napoletano, così come siamo abituati a vedere in film della commedia italiana.
Questo intrecciarsi di varietà etniche è sorprendente e sembra eliminare d'un sol balzo tutte le contraddizioni in cui oggi noi viviamo sempre più arroccati ad una difesa di una impossibile e inutile identità. E' possibile vivere l'uno accanto all'altro con i nostri difetti senza per questo combatterci. Così è totalmente inutile cercare di rimanere arroccati a tradizioni e nostalgie di modi di essere delle comunità d'appartenenza che i rimasti non hanno per nulla mantenuto abbiano essi avuto una mobilità sociale, come siano rimasti nel loro status sembra dirci con il racconto Viaggio in India.
L'aspetto comico, però, spesso lacera la poesia per cui il raccontare di Laila Wadia sembra a volte costretta in questo schema ricercato di comicità.
Quando il comico viene meno, perché la trovata non produce comicità la scrittrice indiana si trova servita nel suo piatto inventivo una elevata poesia. Nel racconto Swami la parte finale non produce comicità perché ciò che sta avvenendo alla protagonista è qualcosa di sofferto, di triste e il cambiamento di situazione che si crea produce rabbia, tristezza perché spesso la nostra necessità e autenticità comunicativa può attuarsi solo con chi non ci ascolta, chè ci fa quasi da cassa di risonanza. Quando parliamo con gli altri che prestano attenzione, non siamo noi, ma ci presentiamo con le nostre maschere che spuntano non appena si stabilisce un contatto comunicativo con gli altri. Non è un caso che spesso quando abbiamo necessità di essere totalmente nudi di fronte a noi stessi parliamo da soli e rifrangiamo le nostre parole davanti a specchi muti e sordi.
Proprio l'assenza della comicità fa sì che il racconto raggiunga un elevato grado di poesia.
L'autrice dimostra una padronanza linguistica con registri diversi. Il tono generale è quello di una lingua media, fatta con frasi brevi e una terminologia articolata. Ma sa anche assumere espressioni più legati al linguaggio colloquiale e non teme anche usare qualche termine della lingua più scollacciata.

16-09-2005

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