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Io venditore di elefanti
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- Creato Sabato, 14 Aprile 2012 07:52
- Ultima modifica il Sabato, 14 Aprile 2012 07:52
- Pubblicato Sabato, 14 Aprile 2012 07:52
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La condizione di illegalità in Io venditore di elefanti, fa sì che la precarietà di vita, l’essere soggetti ad umiliazioni indicibili non permette un rapporto umano con la società ospitante. Si percepisce in maniera chiara che in una società moderna la condizione del riconoscimento civile è quella che dà diritto ad una esistenza umana, diversamente si scatenano tutti gli egoismi, ma specialmente tutta la ferinità di cui l’uomo è capace.
La situazione di ricatto è quella peggiore che si possa vivere: bisogna nascondersi, non reagire, lasciarsi insultare. Non a caso dopo il primo capitolo di presentazione di sé e della propria terra il testo di Pap Kouma affronta subito il problema dell’essere clandestini.
“Come ci si sente da clandestini?”52 – si legge in Io Venditore di Elefanti – “Male. Oltretutto si entra in concorrenza con chi sta male quanto noi. Un immigrato deve subire, tacere e subire, perché non ha diritti. Deve reprimere dentro di sé ogni reazione, svuotarsi di ogni personalità. Subire con la consapevolezza che questa è l’unica possibilità”.
I bisogni fondamentali vengono messi a rischio; la attività per ricavarne l’essenziale per vivere è continuamente frustrata quindi in una condizione di continua precarietà. “Vendere mi dava paura e angoscia, perché ero dovuto scappare una infinità di volte davanti ai vigili, perché mi avevano sequestrato la merce, perché ero finito in prigione, perché tanti mi guardavano male quando non mi insultavano se esponevo i miei elefantini e le mie collane davanti al loro negozio”.
In una telefonata che il protagonista ha col fratello dice: “Caro fratello, qui la vita è dura, molto più dura di quanto tu possa immaginare o tu possa aver capito attraverso le mie lettere. Questa vita non lascia spazio alla felicità. Noi siamo clandestini e questo significa che dobbiamo vivere sempre con la testa china. Prima di uscire dall’albergo devi aspettare che non ci sia gente nei paraggi. Devi strisciare lungo i muri, devi nasconderti, devi dire sempre sì. Guadagniamo qualcosa, vendendo. Ma anche vendere è triste,... Per ora la nostra è una vita nell’umiliazione”.
Quando il protagonista ottiene il permesso di soggiorno si esprime così nel testo: “I permessi di soggiorno ci vengono davvero concessi. Eccoli, belli e fiammanti. La legge italiana ha riconosciuto la nostra esistenza. Non siamo più ombre, fantasmi, clandestini. Siamo uomini”.
L’essere o non essere uomini passa attraverso la liberazione dalla condizione di clandestino o meno.
2006