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cronaca di una vita in silenzio spanjolli

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 Si prova una sorta di fascinazione dopo la lettura delle prime pagine di questo insolito, ma anche pregevole romanzo scritto da Artur Spanjolli. Intanto l’incanto si mantiene anche quando si scopre la profonda innovazione, da quel poco che conosco di letteratura, della struttura narrativa. La definirei a raggiera, ove il perno della ruota è dato da un personaggio evocato, richiamato e che fa da strumento catalizzante dei ricordi. Personaggio che non c’è più, ma che diventa il riferimento di tutti gli altri personaggi, che sono i terminali di memorie e rievocazioni.
Si tratta si una saga familiare ove i ricordi di ciascun protagonista costituiscono tasselli per la edificazione e costruzione della storia della famiglia. Storia che abbraccia quasi un secolo, ove si giocano vicende storiche richiamate e rivissute perché sono entrate nel destino di vita di ciascuno e vicende personali, usi costumi e valori che si tramandano e cambiano. Una saga familiare che presenta molteplici punti di vista. L’io narrante si sposta da un personaggio all’altro vedendo i fatti con diversa angolatura e focalizzazione. A volta è lo stesso episodio che assume coloritura diversa perché è diverso l’approccio dell’io narrante trasferitosi.
Se fosse solo questione di saga familiare, il romanzo non rivelerebbe nulla di differente rispetto a tanti altri romanzi simili, noti e meno noti. C’è altro e molto di più. Intanto la centralità; come detto prima, perno catalizzante dei ricordi è un defunto. Non è la famiglia o il clan che acquista valore significante. Non è un immergersi in tradizioni richiamate, rivissute, rinfrescate, perpetuatesi attraverso vicende succedutesi in vari decenni che fanno il tessuto connettivo della vicenda; è un defunto, che accentra l’attenzione della famiglia ancora dopo mesi e che si ritrova, appena può, per una commemorazione silenziosa, ma doverosa. Nessuno riesce o vuole sottrarsi a questo dovere del rintracciarsi, rincontrarsi per ricordare, nel silenzio, questa persona morta.
Anche in questo romanzo sono espressi valori tradizionali, religiosi, della vita rurale e del conflitto fra una vita spesa nella campagna ed un’altra che è più vicina alla dimensione della città. Sono espressi i valori del rispetto della figura paterna, di quel padre che è ancora il nume tutelare della casa e che è da tutti rispettato e riverito per quello che ha potuto fare e continua a fare. Anche in questo romanzo emergono le figure semplici di donne che spendono tutta la loro vita nella cura dei figli allevati con preoccupazione, con sacrifici, a volte con affanno. Anche in questo romanzo si respira la dimensione della religione della famiglia con l’attaccamento ad essa, agli spazi in cui questa vita si è potuta realizzare.
Il defunto ricordato silenziosamente, perché nessuno ne fa o ha mai fatto un panegirico, è asse valoriale più significativo. Con lui si focalizzano tensioni di bontà, generosità, altruismo. Solitamente i valori familistici rischiano di essere oppositivi rispetto a quelli comunitari. I primi sono espressioni di relazioni e conforti interiori in opposizione ad altri valori che presuppongono la fuoruscita dal clan familiare, l’apertura per una inclusione di altri soggetti, altri valori, altre persone. I primi sono espressione di identità di gruppo, che si riconoscono all’interno di spazi circoscritti e determinanti la vita del gruppo. I secondi sono sostitutivi se non scalzanti i primi.
In questo romanzo ci si ritrova davanti alla messa a fuoco di valori che pur partendo da un gruppo familiare molto legato, acquistano altra dimensione e coloritura perché li sorpassano e in qualche modo li esulano. E’ la bontà nei confronti del gruppo familiare ma specialmente dell’intera comunità, l’altruismo che ha permesso al personaggio evocato silenziosamente e indicato con un “LUI”, di essere riconosciuto come un unico dal gruppo familiare e dalla comunità.
Non è qualcosa di scarso rilievo perché riportare l’attenzione attorno a valori come bontà e altruismo (nel romanzo sono questi i termini con cui LUI viene designato) significa decentrare completamente rispetto alla centralità della famiglia e della tradizione.
L’impressione, leggendo il romanzo, è quella di trovarsi di fronte ad un nuovo tipo di “santo”; tutta la comunità lo giudica così e sussurra che LUI ha perso la vita relativamente giovane perché è “benvoluto da Dio”. Ma LUI non è mai ricordato per sue particolari vocazionalità religiose, ma per la sua dedizione agli altri. E’ una santità laica, umana non religiosa, ma proprio per questa più coraggiosa.
Questo spostamento e rifondazione di valori che esulano da quelli familistici e patriarcali fanno del romanzo qualcosa di totalmente nuovo, perché vi si parla della essenza umana liberata da ogni ceppo territoriale e familiare, anche se è la comunità che lo ricorda e ne celebra la sua grandezza.
Fatti e avvenimenti storici anche drammatici sono trattati con leggerezza. E anche questo è un grande pregio del libro. La vicenda di una famiglia albanese che da ricchi proprietari passa, per cambi di governi politici, per l’avvento del comunismo e della successiva sbornia “democratica”, ad una situazione di estrema precarietà viene presentata senza drammi, senza ricercarne assolutamente la compassione del lettore. L’alterna vicenda umana è accettata con fierezza, con atteggiamento dignitoso, come pure i successivi cambiamenti sono vissuti con preoccupazione, ma non con parossismo.
Ancora una volta, diversità di organizzazioni politiche, diversità di condizione sociali si inchinano a valori che stanno al di sopra.
Artur Spanjolli cerca di assegnare ad ogni personaggio una cifra stilistica rispondente alla sua psicologia, al suo carattere, ma non sempre riesce in questa impresa. Molto spesso il ritmo si ripete rendendo poco differente il riconoscimento di una struttura psicologica differenziata.
Salvo questi ultimi elementi ritengo il romanzo uno dei più poetici di tutta la produzione della letteratura della migrazione. Incominciamo ad avvicinarci ad un capolavoro.
L’autore albanese mostra di conoscere appieno la lingua italiana. Il suo periodare è semplice e riesce a mantenere un ritmo discorsivo piano e senza strappi.

 

29-01-2004

 

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