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la pelusa
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- Creato Domenica, 25 Marzo 2012 17:59
- Ultima modifica il Domenica, 25 Marzo 2012 17:59
- Pubblicato Domenica, 25 Marzo 2012 17:59
- Scritto da Marcelo
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Questo secondo romanzo di Adrian Bravi si modella con caratteristiche simili a quello precedente restituiscimi il cappotto. I personaggi sono limitati e fanno da supporto al principale di cui si analizzano fino in fondo gli elementi psicologici costitutivi del suo essere. La mania della rimozione della polvere, portatrice di malattie, è al centro di questo breve romanzo. Il disturbo, ad un primo momento sembra del tutto innocuo: “lo caratterizzava un leggerissimo tic nervoso all'occhio destro che nessuno aveva mai notato, salvo sua moglie”. Acquista poi sempre più corposità e determina l'umore, il comportamento relazionale di Anselmo, nome del protagonista, con gli altri, che ai suoi occhi non esistono. Tutte le persone gli danno fastidio. Anche la moglie non sembra rientrare nella sua sfera di attenzione se non per quanto possa aver eseguito i suoi ordini nel sistemare la casa e nel pulirla togliendone ogni traccia di polvere.
La sua vita monotona e ripetitiva è proprio del tutto simile alla polvere che, sebbene la si rimuova, ritorna sempre insistente allo stesso punto.
Tutti i movimenti sono una minaccia perché possono sollevare polvere, anche i movimenti notturni provocati dai sogni, perché le lenzuola nel muoversi innalzano pulviscolo che poi va ad inquinare l'aria: "ti rendi conto di quanti microbi stanno svolazzando per la stanza per colpa dei tuoi piedi?" Anche fare all'amore è un pericolo e ormai lui ha smesso di farlo, lasciando nella prostrazione la moglie che vorrebbe invece avere figli.
Un espediente narrativo fa da esca all'accelerazione dello sviluppo narrativo. Il narratore introduce nella vicenda un personaggio che ha lo stesso nome dell'autore. E' un personaggio che non si riesce più a rintracciare, svanito nel nulla, ma che con la sua più accentuata mania per gli strati di polvere (la pelusa), porta il protagonista alla crisi finale che si tramuta in tragedia.
E' autocritica, è un voler introdursi per sciogliere il nodo narrativo che rischiava un empasse? E' una trovata comunque felice.
Vi è un altro elemento narrativo che fa da substrato a tutta la narrazione.
Anselmo, che ormai non comunica più con nessuno, che ormai lascia nella solitudine la moglie, scrive ripetute e-mail ad un vecchio amico ma ad un indirizzo ormai non più in uso così che tutte le missive gli ritornano indietro, ma lui imperterrito continua a scrivere. La comunicazione gli è possibile solo se è un solipsismo con la sicurezza che nessuno dall'altra parte risponderà. E' una comunicazione che conferma la sua mania e la rafforza.
Il tono monotono, il ritmo lento della narrazione sono del tutto consoni al senso della narrazione che potrebbe sembrare qualcosa di insignificante ma che invece ci avverte che ciascuno di noi per le proprie piccole o grandi manie rischia sempre di escludere, di non sentire gli altri, di imporre la propria voce, di sovrastare, di ignorare chi ci sta attorno.