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Il canto del Djali Cheikh

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Leggere la poesia di scrittori africani, specialmente del centr’Africa, provoca nel lettore una sorta di straniamento, sia perché ci si trova davanti ad una organizzazione strutturale della poesia per certi versi dissimile da quella europea, sia per l’uso di immagini e termini a volte distanti dai canoni poetici a cui siamo abituati.
Lo straniamento deriva dal fatto che ritmi, suoni delle parole della lingua italiana hanno risonanze diverse quando sono usati da persone d’altra lingua materna, specie quando la fonia di questa lingua è del tutto diversa dal nostro idioma. Anche quando si acquisisce una nuova lingua – in questo caso l’italiano - con una certa padronanza, l’eco dei suoni e ritmi della lingua madre tenderà a sovrapporsi o a mescolarsi con quella acquisita dando luogo a un meticciato linguistico che produce appunto negli “indigeni” lo straniamento di cui abbiamo parlato.
Anche la poesia di Cheikh Tediane Gaye non sfugge a questa impressione perchè una delle sue caratteristiche è quella di una sorta di anafora concettuale ove un concetto poetico viene ripetuto molte volte con metafore e immagini diverse fino ad esaurirne la sua tensione. Spesso le stesse metafore appartengono alla cultura originaria, come ad esempio la seguente: “L’acqua calda non dimentica di essere tiepida”.
Ma successivamente il lettore è avvinto dalla bella poesia di questa silloge e ne apprezzare le qualità; anche perché poi non mancano risonanza della poesia.
Dal punto di vista tecnico è da sottolineare che la versificazione è varia perché Tediane Gaye passa dal versicolo alla proesia, né pare interessarsi molto di una costruzione di rime.
Ma l’aspetto più significativo del lavoro del poeta di origine senegalese è quello di un perenne canto alla forza della parola e al suo valore civile, profetico, educativo. La parola, esaltata nella sua forza evocatrice, nella sua potenza creatrice, a volte ha necessità di essere rafforzata, come sembra avvenga nella cultura senegalese e africana, dall’accompagnamento di uno strumento a percussione che le dà vitalità e sacralità.
La poesia di Tediane Gaye è un vero inno alla parola fattasi poesia mediante l’accoppiamento alla “Kora”. Un insieme consistente di poesie della silloge proposta dal poeta senegalese, è proprio dedicato alla disanima del vigore e valore della parola poetica.
Ma un secondo nucleo poetico ricorrente è quello della sua terra d’origine: l’Africa, di cui canta come in sogno la speranza della una riconquistata di una dignità protettrice dei suoi abitanti (“all’alba sorrideremo al mondo / perché questa terra è sempre in piedi.”).
E tuttavia il poeta è consapevole della tragedia che incombe perennemente sulla sua terra e i suoi abitanti. “Il mio paese sanguina e del suo sangue tradisce le cantiche dei saggi,/ sanguina e del suo sangue asciuga i sorrisi,…./…./sanguina e disseta lingue di vipera / sanguina e nella corrente delle onde piange /d’aver mentito ai saggi, ai bambini, ai sorrisi di meraviglia.”
Egli è pronto a sacrificare la sua vita per riportare serenità e verità alla sua Africa “Il mio corpo, la mia anima / offrirei la mia anima per illuminare le voci credule /all’orizzonte, la Verità.”, senza perdere mai il desiderio conclamato di inneggiare alla sua terra e ai suoi giovani abitanti. “Infine cantiamo le nostre terre /le mani accoglienti /cantiamo questa bella terra /…../la forza dei bravi ragazzi che irradia /sotto il cielo di speranza”.
La silloge è arricchita da molti altri spunti e illuminazioni poetiche che vanno dal riconoscimento della grandezza di Senghor, al debito di amore e di dedizione per la figura della madre.
Una cifra caratteristica della poesia di Tediane Gaye è data, però, dal fascino dell’innocenza del bambino e dell’evocazione della dolcezza, serenità e bontà; oltre a dedicare una intera poesia al “bambino”, il poeta, infatti, nell’intera sua produzione richiama spesso il bambino come espressione di speranza e depositario di un futuro migliore.
La disperazione per le vicende storiche dell’oggi viene stemperata dalla speranza dei bambini che, nel recupero delle tradizioni veicolate dalla parola, accompagnata dalla kora, sapranno ridare grandezza all’Africa.
Ci sono altri spunti poetici, alcuni anche singolari, ma una poesia in particolare ci riporta al centro del gusto poetico europeo, italiano, ungarettiano : “L’uomo, nella terra/ è ospite / ci vive nel male / come nel bene / e nessuno ci abita / non è la dimora.”

 

08-11-2007

 

 

 

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