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Qui e là Brito

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C’è poco da aggiungere alla ottima analisi di Maria Cristina Mauceri, posta in calce al testo pubblicato.
Preferisco allora soffermarmi su un trittico intitolato tre silenzi che merita parecchia riflessione.
Il titolo pare indurre alla meditazione e attenzione sulla funzione del silenzio, della incomunicabilità e della solitudine, come afferma Mauceri.
Ritengo che tema essenziale di questo trittico sia piuttosto la prossemicità, intesa come rapporto di vicinanza spaziale fra due individui, la necessità biologica di essa al di là di ogni possibile comunicazione ed indipendentemente da essa.
Ciascuna delle tre protagoniste di questi brevi racconti che compongono il trittico si trova accanto giorno dopo giorno, su una spiaggia, un uomo, che non conosce.
Ognuna di loro si trova in un momento di solitudine, la relazione con gli altri è confinata, ridotta. La prima, Marta, è condizionata dall’educazione a chiudere ogni possibilità di intenzionale apertura con l’altro. La parola con molta probabilità ha giocato proprio il ruolo di accondiscendere ai restrittivi dettami educativi ricevuti. Scopre l’assoluta indispensabilità della presenza di un altro in quell’aura (bolla secondo la terminologia di E. T. Hall (1) che è l’emanazione espressiva dell’io e la scopre non tanto nel silenzio o nel non detto, quanto piuttosto nel fatto di percepire l’altro che entra nell’intimità della propria sfera e che diventa l’agente modificatore di vita.
Basta la sola presenza perché la vita delle tre donne si modifichi interiormente.
Bessy, la seconda delle donne, dopo aver scoperto la necessità della prossemicità., avrà poi bisogno di sentire fisicamente il rapporto con un altro corpo, annullando la propria sfera prossemica. E’ anche evidente che la percezione della propria sfera spaziale intaccata si manifesta quand’essa non è accompagnata da espressioni verbali, da parole, perché è la stessa relazione di vicinanza ad acquistare significato. La parola rischia di annullare il significato della relazione prossemica. “Nessun uomo è un’isola” dice John Donne, frase ripresa da Thomas Merton, trappista americano, proprio perché quando l’uomo cerca la solitudine si accorge che essa è vuota, e sembra dar pace serenità, ma lascia le persone nella loro staticità.
E’ solo attraverso la relazione e, in questi testi di Chriatiana De Caldas Brito, la sola vicinanza in una relazione spaziale ove un altro intercetta la propria aura, la propria espressività dell’intimo, che si ricevono emozioni, che scaturiscono sentimenti, che si producono cambiamenti come l’abbandono del marito da parte di Marta, non perché voglia rivedere lo sconosciuto che le si è seduto accanto quasi da toccarlo, ma perché qualcosa è mutato in lei, è stata positivamente forzata l’intenzionalità verso l’altro, fatto che non poteva più essere soddisfatto dalle scontate ed usuali relazioni precedenti.
Anche per Evelina, il terzo personaggio di questo trittico, l’esperienza della prossemicità fa prendere coscienza dei limiti delle sue relazioni, del tempo che è passato, della possibilità di rivivere ancora una volta un sogno spezzato dalla sua prudenza e dal suo timore.
In tutte e tre le figure femminili la prossemicità come speranza di unione, di contatto carnale serve a risentire la propria carnalità, la propria materialità, la propria consistenza.

 

(1) Hall E. T., La dimensione nascosta, Milano, Bompiani, 1999

 

02-03-2005

 

 

 

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