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- Creato Martedì, 27 Marzo 2012 20:33
- Ultima modifica il Mercoledì, 04 Aprile 2012 17:12
- Pubblicato Martedì, 27 Marzo 2012 20:33
- Scritto da Marcelo
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Il bel romanzo di Christiana de Caldas Brito si presta a molteplici letture omologamente alla articolazione della sua struttura modulata su varie tonalità e forme: da quella diaristica, alla narrazione in terza persona, al monologo interiore.
Il testo narrativo è organizzato secondo una schema circolare. Il romanzo finisce da dove era cominciato, con lo svelamento, nell’ultima pagina, di qualcosa che, drammaticamente, era stato annunciato nella prima. Sia il primo che l’ultimo capitolo fanno da cornice perché sono quasi un extratesto; la loro intitolazione è diversa rispetto a tutti gli altri capitoli.
Anche in questo romanzo viene rimarcato un allestimento sequenziale di natura filmica, I capitoli sono brevi, sono prese in considerazione persone piuttosto che azioni. Sembrerebbe che l’operatore faccia continui primi piani per scoprire le rughe, le pieghe del viso, cifra marcata dei vissuti e delle storie dei vari personaggi.
I capitoli sono intitolati dal nome di chi si sta “riprendendo” (per usare un termine filmico). La circolarità strutturale di cui si è parlato prima, non è solo una forma, una organizzazione narrativa; diventa piuttosto una metafora della vita, ripresa più volte da altre immagini come quella della bottiglia verde. In questo consiste la elevata poeticità del romanzo e la forte carica emotiva che comunica.
Chi nasce nella favela non ha altra sorte che stenti, sacrifici e precarietà di vita. I figli, le successive generazioni subiscono la stessa sorte e una possibilità di vita dignitosa si ha solo all’interno di questa condizione.
E’ immediato il paragone sul piano tematico col grande narratore italiano Verga, con la sua poetica dell’ostrica, di cui la bottiglia verde è una chiaro parallelismo.
Ma emblema di questa poetica è anche l’immobilità di una protagonista vittima di un incidente d’auto. Avrebbe in sé le potenzialità per camminare, per liberarsi dall’immobilismo, ma non ha mezzi o speranza per uscire da questa condanna e quando naufraga anche la speranza di un amore, si inibisce per sempre la possibilità di camminare e riconquistare una vita autonoma.
Tutte le storie, le mini storie che si intrecciano in un unico romanzo, sono storie di immobilità sociale; anche la classe media ne è toccata. Anche in questo ancora una volta il paragone con Verga è immediato.
La monotonia della storia umana per i diseredati della favela non lascia speranze agli abitanti “anche se i loro sogni somigliano in tutto ai sogni degli industriali e dei commercianti che vivono in ville sontuose, nelle strade asfaltate, sotto le favela”.
La stessa natura partecipa di questa condizione di immobilismo sociale. I temporali, la pioggia - che arriva implacabile ad intrappolare nella miseria gli uomini senza alternativa e il territorio da loro abitato - sono ancora una volta un emblema dell’inamovibilità della storia sociale dell’uomo. Ma in questa constatazione si avverte ancora di più un legame di autentica e sofferta partecipazione alla sofferenza della gente della favela, partecipazione che lega l’autrice, mediante il narratore, ai personaggi, vittime della loro nascita e del loro ambiente.
E’ una solidarietà che trova la propria radice nella constatazione e descrizione poetica della elevata moralità dei personaggi più significativi di questo romanzo: canto e poesia alla vita di stenti della gente più povera e diseredata.
Il mondo fuori è un mondo di corruzione, di falsità; è una ragnatela di delinquenza.
L’etica civile, sociale è così forte che il tentativo di intraprendere una strada diversa, o di dare una svolta alla propria esistenza passa attraverso il legame che “Marlene” ha per il proprio padre ricordato come un mito. Egli, senza alcuna paura nei confronti del mondo della delinquenza, aveva denunciato alla polizia un traffico illegale di stupefacenti e per questo era stato ucciso sulla soglia della sua casa. Un mito per il coraggio dimostrato, ma specialmente un eroe del proprio dovere di cittadino. Quando questo mito crolla, Marlene non può far altro che uccidersi perché non ha altro a cui credere, né altro motivo di speranza, perché anche la dignità e la decenza della vita sono naufragate. Neppure il possibile amore per un ragazzo appena conosciuto possono essere una compensazione alla caduta degli dei.
03-10-2006