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regina di fiori e di perle Ghermandi

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All’interno della letteratura della migrazione incominciano ad apparire testi “postcoloniali”, romanzi cioè di stranieri provenienti dai territori che furono colonie italiane dopo essere state violentemente occupate.
Tracce di guerre e di colonialismo, per lo più rimosse, venute alla luce negli ultimi 20 anni per merito dello storico Angelo del Boca; tracce finora quasi del tutto assenti nell’immaginario letterario degli stranieri di recente immigrazione.
In verità la scrittrice Erminia Dell’Oro, nata in Eritrea ad Asmara, aveva aperto, con i suoi romanzi scritti dagli anni ’90,uno squarcio su quel mondo di meticciato, vissuto dagli italiani con curiosità, se non con sufficienza.
Neppure l’arrivo sempre più intenso di stranieri provenienti dal Corno d’Africa, spinti in Italia non tanto per un richiamo della nazione excolonizzatrice, quanto a causa del continuo stato di tensione bellica colà esistente, aveva contribuito a risvegliare, in noi italiani, queri precisi ricordi e a farci fare un po’ di conti col passato. I non pochi scrittori di quest’area, Shirin fazel Rmzanali, T. F, Brhan, Igiaba Scego, Ribka Sibhatu, Cristina Ali Farah, che hanno contribuito a farci conoscere quel mondo sul piano culturale, avevano pudicamente sottaciuto quel periodo storico, che qualche residuo di memoria deve aver pur lasciato anche nelle nuove generazioni.
Il romanzo di Gabriella Ghermandi svela sul piano letterario ciò che sul piano storico era già emerso.
Il testo della giovane scrittrice, nata ad Addis Abeba da padre italiano e madre etiope, è costruito essenzialmente per riportare alla luce fatti, episodi, momenti tragici della lotta di resistenza del popolo etiope all’occupazione italiana avvenuta verso la fine degli anni ’30 del secolo scorso durante l’epoca fascista.
Esula da questo mio scritto l’analisi delle tante storie raccontate, se non per il tono con cui vengono presentate che è sempre delicato, morbido, privo di acredine e rancore, quasi a scusarsi per quest’ingresso in punta di piedi, per sollecitare solo un poco la nostra coscienza sopita e frastornata dal tumulto della vita quotidiana.
La delicatezza dello scritto pone, tuttavia, momenti di riflessione sulle atrocità perpetrate dagli italiani. Molti sono i personaggi significativi per il coraggio e l’intelligenza manifestati nell’azione di resistenza. Emergono anche eroine femminili non come figure di contorno o ausiliarie dell’azione maschile, ma impegnate in prima persona nella gestione e direzione di episodi di resistenza: come Kebedech Seyoum, che assume una funzione mitica.
Mi soffermo maggiormente sullo spunto narrativo che dà origine al testo. Si tratta di una vera e propria cornice che fa da elemento connettivo di tutta la narrazione. Sia nella tradizione letteraria mediorientale che in quella occidentale l’uso della cornice come espediente e connettivo narrativo è consolidato e prestigioso. Le mille e una notte, il Decameron, I racconti di Canterbury, sono famosissimi esempi di cornici che fanno da supporto alla narrazione.
Shahrazàd con i suoi racconti riesce a stemperare l’ira del re Shahriyàr, la peste è l’espediente narrativo usato da Boccaccio, come Chaucer usa il pellegrinaggio come mezzo per supportare i racconti dei vari personaggi. Anche un altro scrittore della letteratura della migrazione, Tahar Lamri, aveva usato l’espediente della cornice nel suo libro I sessanta nomi dell’amore; la comunicazione informatica espressa mediante quella che con termine inglese è detta l’e-mail è la modalità narrativa che fa da supporto ai racconti.
Nel libro di Gabriella Ghermandi l’espediente narrativo è la curiosità, caratteristica del carattere di Mahlet, la protagonista del romanzo. La manifestazione di questo temperamento si rivela fin da piccola, anche con piccole trasgressioni, come l’origliare i discorsi dei saggi della casa. Jacob l’anziano saggio della casa patriarcale dove Mahlet abita, comprende e favorisce lo spirito curioso della bambina perché servirà a raccoglire le storie della resistenza etiope.
Il temperamento curioso assume la caratteristica del talento, di evangelica memoria, che serve a compiere una missione di ordine quasi religioso perché chi spinge la protagonista a sfruttare la sua inclinazione sono proprio saggi e religiosi, Jacob prima e Abba Chereka poi.
Il compito di Mahlet ha il sapore di una missione che deve compiere quasi come un mandato divino. “Talmente curiosa da diventare paziente e furba…Tienila stretta quella curiosità e raccogli tutte le storie che puoi. Un giorno sarai la nostra voce che racconta. Attraverserai il mare che hanno attraversato Pietro e Paolo e porterai le nostre storie nella terra degli italiani. Sarai la voce della nostra storia che non vuole essere dimenticata”: In questo senso tutta la vita della giovane protagonista assume la funzione di essere una obbedienza tacita, inconsapevole a quanto da Altri è stato deciso ai fini della comunicazione agli italiani delle violenze che essi avevano ordito decenni prima. I suoi primi studi, il suo desiderio di completare gli studi universitari in Italia, l’arrivo in Italia favorito da Abba Jacob, il ritorno dopo la morte di quest’ultimo, sembrano segmenti finalizzati a raccogliere le storie dei partigiani etiopi, a scriverle per diffonderle e farle conoscere.
La cornice è una narrazione autonoma all’interno delle varie storie di guerra.
Il romanzo di Gabriella Ghermandi si legge con piacere oltreché con interesse perché svela anche un po’ del carattere degli italiani, che si credono “colonialisti leggeri”, mentre sono stati capaci anche di indicibili efferatezze. Che possono essere almeno in parte compensate solo da una seria presa di coscienza e dalla comprensione delle ingiustizie commesse.

 

11-05-2007

 

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