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Ombra di cane Gezim

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Il titolo di questa silloge, terza raccolta poetica, mi fa venir in mente sequenze filmiche (di cui non ricordo né titoli, né registi) di cani ripresi isolatamente. Erano espressioni e metafore di rifiuto sofferto e di isolamento o solitudine.
Ombra di cane non solo riprende l’immagine e la metafora, ma la rinforza con l’accentuazione sull’ombra, quasi a dire “solitudine della solitudine”. L’ombra, infatti, è una proiezione del corpo e quando questo è reietto dal consorzio umano, dagli altri corpi la sua proiezione acquista la valenza della radicalità.
L’ombra è la figurazione della solitudine che è il tema centrale della raccolta. Forse non c’è poesia in questa silloge che non contenga questa tematica presente sia con richiami diretti di termini chiave ispirati alla solitudine, sia con immagini indirette o con indizi fonici.
La poesia di apertura “Piango solo” è quasi una linea programmatica, in cui emergono i due elementi più significativi e determinativi della raccolta: solitudine e pianto, quest’ultimo veicolato anche dal termine pioggia.
Numerosi sono i riferimenti alla solitudine. Si veda ad esempio: “Ieri sera nessuno…/…/ho festeggiato la mia solitudine /ieri sera.” L’esperienza della solitudine assume quasi la forma di una circolarità che non lascia possibilità ad aperture. La poesia prima citata infatti si apre e si chiude con “ieri sera”.
La solitudine espressa nei versi di questa raccolta è una “condizione esistenziale” - come afferma Cardamone nella prefazione alla edizione del ’93 - non è solo il vissuto di una esperienza personale. Analisi questa che libera la poesia da una comoda parentela con ogni ipotetico crepuscolarismo. Hajdari scopre, attraverso la propria esperienza, una modalità propria di ciascun uomo, il quale si accorge del suo essere solo proprio attraverso la relazione e la sua difficoltà: “Parlami della tua mancanza/ e raccontami della tua vita/ anonima…”.
Il nostro poeta non si è accontentato di proporre la sua esperienza ma avvia un processo di materializzazione e oggettizzazione di essa con immagini concrete e significative: “sulle coste deserte/ con gli scheletri dei pesci/…/ è fuggita la mia ombra cieca/ a vedere i naufraghi”. Oggetti come “scheletri, polvere, albero spogliato, rovine, spiagge abbandonate” solidamente esprimono il senso della solitudine. La lezione di Montale ed Eliot è percepibile ad ogni passo.
Anche lo spazio che non può non essere frequentato, come quello di Roma, della piazza Navona, assume un aspetto di deserto, in cui la solitudine materializzata dall’ombra viene ulteriormente esaltata: “la mia ombra calpestata /da un’altra ombra”.
Dominante è anche l’altro elemento a cui si accennava in precedenza ed espressione della radicalità della solitudine. La pioggia percorre in vario modo tutta questa silloge fino agli incisivi e scarni versi: “Piove sempre / in questo / paese/ forse perché sono /straniero”. E’ evidente a questo punto che la condizione di solitudine è strettamente connessa con quella della “stranierità”. Il poeta non è esplicito nello sviluppare questo tema, ma ne fornisce indizi significativi.
E’ importante soffermarci ancora per qualche momento sull’elemento pioggia che si concretizza in vetro e proprio per questo assume la valenza di oggetto pericoloso e straziante: “Fuori dalla finestra / la pioggia come un vetro opaco / taglia i giorni della mia vita / mi bagna la ragione.”
La pioggia assume sempre valenza negativa anche quando è associata a una donna anzi in questa poesia è quasi sotteso qualcosa di violento: “Sei andata via / sotto la pioggia d’autunno / verso il mare / evitando i boschi / con i capelli lunghi / come un torrente / sanguinoso”. E’ significativo il fatto che in queste metafore di acqua e di donna in cui il termine “sanguinoso” lascia con il fiato sospeso” i boschi, la rappresentazione estatica della natura, siano evitati.
Anche in questa silloge è presente la necessità dell’alterità che a volte si chiarisce: indecifrabilità in molte composizione, in alcune il “tu” assume chiaramente la figura di una donna, desiderata, sognata, frutto di esperienza o solamente di desiderio, poco importa. Sembrerebbe che solo la figura femminile possa in qualche modo colmare il vuoto prodotto dalla solitudine, pur rimanendo nel suo mistero e inconoscibilità: …/ se osassi /con sete baciare / il tuo seno acceso / come due colline / d’oro/ / tu sei misteriosa / come la ninfa / dell’isola coloniale /coperta con lo spazio / la musica il vento / la morte”.
L’ultima nota da sottolineare per quanto riguarda questa raccolta è l’estrema variabilità delle forme poetiche utilizzate. Ad una certa regolarità iniziale, con poesie costituite da una quartina, si succedono poi composizioni sempre più varie sino ad arrivare a distici di estrema intensità come in “Ancora un poco / e poi risorgeremo “, di biblica reminiscenza, ma anticipatrice di un percorso poetico che canta della liberazione dell’uomo da ogni riferimento ideologico.

 

Marzo 2006

 

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