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I pesci devono nuotare

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Questa volta è un giornalista che si assume il compito di raccontare la storia della migrazione di un immigrato con la particolarità che questo protagonista è un minore non accompagnato, un problema di grande rilevanza all’interno della problematica della più recente migrazione fatta con barconi, con gommoni, comunque attraverso la via d’acqua del mediterraneo che oltre ad essere una impervia e liquida strada per arrivare in Italia sta diventando anche un cimitero in cui è impossibile vedere la collocazione di una croce o di un qualunque simbolo che indichi la presenza di un annegato e la sua denominazione.
Ma questo testo presenta un’ulteriore particolarità perché i protagonisti sono tre e tutti e tre egiziani. Si narrano vite differenti, ma anche parallele come quelle di Selim e Tawfik. Tre storie, non sincroniche nel tempo della realtà, ma rincorrenti in quella della narrazione e raccontate con modalità diverse. Tutte e tre sono intradiegetiche perché ciascuno racconta la propria storia senza che ci sia un narratore esterno. Vi è però una profonda differenza, una è raccontata con l’uso dell’italiano corrente, le altre due vengono narrate usando una lingua italiana molto vicina a quella orale di uno straniero da poco immigrato. Ci sono giustificazioni narrative a questa scelta di uso diverso della lingua? Non pare se non forse la iniziale caparbietà e volontà di Selim di studiare e apprendere la lingua italiana così che uno dei primi acquisti che egli fa è quello di un dizionario che gli permette di acquisire tante parole la cui conoscenza è fondamentale per rapportarsi agli altri. Inoltre è l’unico dei tre che arriva a frequentare l’Università, facoltà di Economia e Commercio, oltre a riuscire ad avere un’occupazione stabile essendo stato assunto a tempo indeterminato. Percorso compiuto in relativamente pochi anni dalla partenza dall’Egitto.
Selim racconta la sua vita da quando è ancora poco più che adolescente in Egitto, soffermandosi sulla vita che vi svolge, sui difficili rapporti con il padre, sulle difficoltà economiche in cui versa la famiglia fino al viaggio nel deserto e poi in barca per giungere in Italia; continua con l’impossibilità di trovarsi un alloggio e un lavoro stabile. La volontà nel voler riuscire è data proprio dall’accanimento che ci mette negli studi e riuscirvi.
Delle altre due storie raccontate, in una lingua di immigrato che non ha imparato l’italiano se non per una comunicazione orale, una precede nel tempo della realtà quello di Selim, in quanto può collocarsi essenzialmente negli anni ’90, la seconda invece  si sviluppa parallelamente a quella di Selim.  Il protagonista di questa seconda storia è Tawfik che diventa amico di Selim  e nel segno di questa amicizia si chiude il romanzo.
Anche per questa narrazione si pone ragionevolmente una comparazione si con il romanzo di Melania Mazzucco che con quello di Erminia Dell’Oro ma anche con quelli a quattro mani dei primi anni ’90.
La prima constatazione da fare è che nel romanzo di Paolo di Stefano  abbiamo la storia  di un Raymon, egiziano, che arrivato in Italia all’inizio degli anni ’90 vi rimane per circa 10 anni per poi ritornare in Egitto. La sua vita però prende una piega non troppo felice.   Non si comprende il senso della narrazione di questa biografia se non forse il fatto dell’esito del ritorno. Il ritorno che non produce sempre esiti reali e non solo emotivi ed esistenziali confortevoli.
La seconda constatazione è che né Selim, ne Tawfik sono richiedenti asilo, ma il primo è un minore  non accompagnato  quando arriva in Italia. Ciò che avvicina Selim alle storie ultime degli immigrati è il percorso del suo viaggio, nel mediterraneo, in barcone.  Entrambi sono però emigrati  per cause economiche.
 

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