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Antologia della pioggia
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- Creato Giovedì, 29 Marzo 2012 15:14
- Ultima modifica il Giovedì, 29 Marzo 2012 15:14
- Pubblicato Giovedì, 29 Marzo 2012 15:14
- Scritto da Marcelo
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In ordine di tempo dovrebbe essere la seconda raccolta di poesie. Scritta agli inizi degli anni ’80, segna in maniera marcata l’evoluzione poetica di Gezim Hajdari. La prima considerazione da farsi è sul titolo Antologia della pioggia presupporrebbe una diffusa presenza del tema della pioggia oppure dell’acqua o almeno del termine. Se si vanno a numerare le poesie ove è presente la tematica relativa all’elemento liquido dell’acqua o della pioggia ci si accorge che sono relativamente poche. Perché allora questo titolo?
La pioggia, ma anche l’acqua per Gezim Hajdari acquista una valenza totalmente negativa, è una prigione come in Baudelaire “…quando la pioggia, distendendo le sue immense strisce, imita le sbarre d'un grande carcere”. E’ una assenza di speranza ove il tempo futuro si è chiuso definitivamente. Il titolo di questa silloge è dato non dalla tematica, ma dalla intonazione di fondo della raccolta poetica.
Intanto un primo elemento: la natura, che nella precedente antologia erbamara assumeva un valore estatico, contemplativo, in questo testo è ridimensionata; anch’essa fa da bordone all’angoscia esistenziale che traspare da gran parte del testo. E’ un processo simile a quello che avviene nella maturazione poetica di Leopardi che dalla dichiarazione della grandezza della natura, ne arriva a denunciare la malvagità. Ma mentre in Leopardi avviene una evoluzione filosofica di riconoscimento dell’essere della natura, senza che con questo venga meno la fascinazione continuamente avvertita dal poeta, in Hajdari non c’è alcuna evoluzione di pensiero, ma un inglobamento della natura nella dimensione funerea e angosciante, così che essa non solleva più il poeta verso qualcosa di più elevato. “Forse sulle colline brulle di Darsìa/…./sotto le spine secche del melograno/ picchiati dai venti gelidi d’oriente…” Non c’è nulla di estatico, la natura partecipa alla disperazione che la sua poesia possa essere completamente dimenticata. Tutta la prima parte della silloge è intessuta dal sentimento angustiante della mancanza di possibilità di speranza. “Non so se vale la pena di vivere….i giorni sono caduti nel fango / e le notti sulle ossa dei morti”. Neppure la poesia riesce a dare fiducia e possibilità di salvezza al poeta.
E tuttavia la dedica e la composizione introduttiva accendono una spia, quasi a ipotizzare che tutta la silloge sia essenzialmente una metafora politica. “Domani ci vogliono in piazza amore mio/…”, è il verso introduttivo ove viene dichiarata la politicità della attenzione poetica. La ricorsività del termine “domani”, sta ad indicare l’aspetto rituale e quindi superficiale delle celebrazioni politiche, diventate false, insulse, prive di significato e di senso. La disperazione, l’angoscia descritta nelle poesie successive sarebbero la denuncia di una impossibilità di speranza di cambiamento in positivo sul piano politico, permanendo l’assetto governativo allora esistente. La sfiducia nel domani, cifra indicativa specialmente delle prime poesie della silloge, connota più significativamente la loro intenzionalità politica. In una poesia in cui viene ritmato il tempo del passato, presente e futuro il poeta - eliminata ogni possibile risoluzione positiva nel futuro - pone dubbi anche sulla funzione consolatoria del passato: “Chi si ricorda / della nostra infanzia / di pura innocenza / Che moriremo sotto / questa pioggia sottile è certo / Fisse le nostre forme / all’orizzonte / che di freddo e di oblio / si nutrono”.
Anche nella poesia di chiusura della raccolta viene ribadita la assoluta connotazione politica delle composizioni:” Tutta la tua tragedia, Storia / è caduta su di me/….Già immagino quelli che verranno / in cima alla collina ossessionata / come me cercheranno di vivere / nella memoria e nell’oblio”.
Diventa più insistente in questa silloge la presenza di un “tu”, incerto. Donna? Alterità astratta? La proiezione di sé? Questa alterità è senza dubbio intenzionale ed assume una totalità di vita …”tutte le piogge del mondo / col tuo nome chiamerò”. Nella parte finale della raccolta emerge qualche possibile elemento positivo, riconoscibili ossimori semantici più che terminologici come: “ Nell’orizzonte tranquillo / un buco nero / e uccelli che gridano intorno”. Inoltre qualche elemento di apertura appare qua e là, come nella poesia “Non dimenticare di tornare” in cui la natura riappare come positiva e foriera di nuove speranze.
Forse l’aspetto più rilevante è dato dalla poesia “Vengo per la strada….” per due indizi significativi: il primo riguarda ancora una citazione di Montale “non chiedetemi di essere quello che non sono /…”, verso molto simile a”non chiederci la parola..”, il secondo rappresenta l’avvio di una poetica che si svilupperà in maniera significativa in seguito e che riguarderà la presa di coscienza del proprio essere uomo in tutte le sue componenti: la sua storia, la sofferenza, la dignità, l’assoluta libertà da ogni condizionamento è da riconoscersi. I versi “non mi inchino agli dei / credo nell’Uomo”, rimanda per moti versi al Leopardi della Ginestra che rifiutava di inchinarsi all’oppressione del Vesuvio e rivendicava la sua totale libertà e fierezza.
Marzo 2006